martedì 23 ottobre 2012

Sull'orlo di un dirupo


L'attesa sta per finire. "Sull'orlo di un dirupo", il mio libro più sentito e per questo, credo, più emozionante (oltre che divertente) è in stampa. Richiedetelo sui canali di vendita in rete, oppure alla casa editrice: www.ilfoglioletterario.it. O in qualunque libreria abbia voglia di fare un semplice ordine. O magari al sottoscritto, che se siete in zona vi offre pure una birra. Prezzo di copertina: 12 euro. Soldi spesi bene.

Scrivere un libro con passione su una grande passione. Lo ha fatto l’autore di questa opera che parla di emozioni, sofferenza, riscatto, rinascita. Un libro atipico dove il passato, il presente e il futuro di chi scrive si intrecciano e fanno i conti con il mondo del calcio e la società attuali, universi speculari e purtroppo alla deriva. L’unica speranza sembra venire dalle generazioni in erba, ma salvaguardarle dal degrado morale e spirituale degli adulti appare impresa disperata. Manservisi tenta, tra le pagine e i capitoli di questa “storia di vita”, di suggerire una via d’uscita, via che può essere trovata solo anarchicamente, ovvero seguendo il proprio cuore e rifiutando l’omologazione a uno status quo che sembra il preludio alla vera fine del mondo.

DALLA QUARTA DI COPERTINA:

E già che siamo all’inizio, voglio fare una premessa molto importante: questo libro parla di calcio, ma è come se parlasse di qualsiasi altro sport o passione. Questo libro è per chi ama il calcio, per chi lo odia e per chi se ne frega. Questo libro parla di VITA e le sue pagine gridano, in particolar modo ai giovani e ai loro genitori, una specie di implorazione: LEGGETEMI! Ne vale la pena, sempre che leggere abbia a che fare con la sofferenza piuttosto che col piacere.

(Simone Manservisi) 

Sono passati venticinque anni, e da allora ho sentito un miliardo di suoni e di rumori. Ma il Thumm! del pallone che impattava con il collo del mio piede destro e il Flosccc! della rete che si gonfiava un attimo dopo ce li ho ancora qui, nelle orecchie, come se avessi colpito quel pallone questo pomeriggio.
Questo libro è per chi ha ancora quei bellissimi suoni nelle orecchie. E nel cuore.

(dalla prefazione di Gianluca Morozzi)

martedì 2 ottobre 2012

Dieci giorni = un anno



Dopo aver riletto e radiografato gli articoli che fecero "grande" il vecchio sito, ho valutato che solo un decimo di essi sono riproponibili qui nel nuovo blog. Perché? Perché rappresentano in un certo senso un periodo storico e personale che si è ormai chiuso. Andarli a ripescare mi sembra come andare a riesumare un morto, rileggere le pagine del diario di un altro: non me ne vergogno, però l'evoluzione mi ha portato... oltre. Chi li lesse a suo tempo ne avrà colto il buono e il cattivo che contenevano, così come io, da quel buono e cattivo, ho edificato il Dottor Manser di oggi. Non ha più senso che torni indietro per riscaldare minestre ormai scadute, ma se qualcuno un giorno vorrà "studiare" da un punto di vista esegetico il Doc, basterà farmi un fischio e sarò disponibile ad aprirvi i miei archivi (diari esclusi perché quelli, come sa bene il mio notaio, potranno essere aperti solo cinquant'anni dopo la mia morte). L'articolo che segue è dunque l'ultimo che ripropongo e che sancisce un ideale distacco definitivo da quello che fu il sito dottormanser.it. E' datato 2008 e come congedo mi sembra perfetto.


Quando dieci giorni possono valere un anno? Quando li vivi in viaggio, spremendoli fino all'ultima goccia. Così ho fatto nel mio ultimo on the road, dal nord della Corsica al sud della Sardegna. Dieci giorni intensi, sempre in movimento, ma anche introspettivi, ispirati ed estremamente proficui sia da un punto di vista letterario che di evoluzione spirituale. 
   Mi sono imbarcato a Livorno e il profumo di libertà che già mi inebriava appena partito da casa, quasi mi stordiva. A Bastia mi sono diretto verso Saint Florent, viaggiando su strade strette, con strapiombi non protetti a lato e vacche enormi che comparivano in mezzo alla carreggiata all'improvviso. La prima notte ho piantato l'igloo ad Aleria (sorprendente quanto si dorma bene anche in una tenda quando si è stanchi e appagati) e il giorno seguente ho proseguito verso sud, dove hanno cominciato a presentarmisi alla vista spiagge caraibiche.
   Mi ero ripromesso di fare un bagno "purificatore" in ogni cala che avessi visitato, come fosse un battesimo, un atto di reverenza verso quei luoghi e la natura in generale. A tappe sono poi giunto a Bonifacio dopo essere passato per Ghisonaccia, Solenzara, Palombaggia (la prima spiaggia incantevole; molto meno belle erano le prime), Santa Giulia, Rondinara, Cala Longa e aver trascorso una piacevole serata a Porto Vecchio. Attraversate le Bocche, ho puntato verso Palau e in un camping sul mare, da cui si poteva ammirare la Maddalena, ho piantato la tenda.
   Tappe successive nel nord dell'isola sono state San Teodoro e Budoni, poi mi sono diretto a Cagliari a trovare la mia amica Loredana, unica donna che mi fa incazzare appena apre bocca ma verso la quale nutro un sincero affetto.
   Fatto un salto al Poetto e visitata un po' la città sono tornato verso Olbia, non prima di aver fatto tappa a Santa Lucia e Posada. Nell'attesa del traghetto delle 22.00, l'ultimo giorno ho trascorso il pomeriggio a Golfo Aranci e dopo un ultimo bagno "depurativo" ho salutato la Sardegna.
   Torno dunque a casa rigenerato, con un nuovo racconto-romanzo in cantiere, ispirato per nuove storie, evoluto spiritualmente, felice di essermi avvicinato ai miei limiti e forse averne superato pure qualcuno. Se come ho scritto, dieci giorni così valgono un anno, pensate cosa può valere una vità in... viaggio. Coloro che conoscono bene il "senso" sanno bene che dietro (o dentro) al viaggio c'è il segreto  dell'ETERNITA'.

lunedì 1 ottobre 2012

UN FERRAGOSTO DA INCUBO


 Quando si dice "la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo". Giovedì 14 agosto io e il mio amico Petru partiamo per fare una serata a Rimini, non valutando (ingenui!) che Rimini a ferragosto è peggio della Mecca invasa dai pellegrini durante il ramadan. Arrivati a destinazione cerchiamo un parcheggio tra le stradine intasate del lungomare e dintorni. Imboccato un viottolo tipo quartieri spagnoli di Napoli, ci troviamo di fronte un macchinone pieno di russi dall'aspetto poco raccomandabile. Io e l'amico dopo esserci scambiati uno sguardo breve ma eloquente, decidiamo che è meglio non sindacare, anche perché basta fare cinque metri in retromarcia per infilarci in un'altra viuzza. Faccio così. Ma mentre cerco di infilarmi un grido squarcia il cicaleccio dei turisti ancora in pausa digestivo davanti agli hotel: "Fermooooooooooo!" E' Petru che con la sua voce quasi copre il lugubre "scrrrrrrrrrrrrrrrrrrch" che proviene dal lato destro della Golf del papi. Faccio altre tre o quattro manovre e mi infilo nella stradina, parcheggio e scendo a controllare l'entità del danno, mentre un vecchietto se la prende con le macchine che erano parcheggiate in divieto di sosta e che a parer suo sono responsabili del danno alla mia macchina. "Chiami i vigili e facci dare la colpa a questi sgraziati!" dice. "No guardi, lasci perdere, qui la colpa è solo mia" rispondo mentre grondo litri di sudore già pensando ai 700 - 1000 eurini che mi chiederà il carrozzaio e soprattutto alla reazione del papi, appena reduce dalla distruzione (sempre da parte mia) dello specchietto retrovisore della Golf. Chiosa: se vi state chiedendo se non so guidare... so guidare benissimo! Trattasi di coincidenze. Dicevamo: appurato il danno mi rimetto in macchina cercando di non pensarci. Non è facile, ma i due mojito scolati durante la festa cubana sulla spiaggia (dopo altre mille peripezie per trovare un parcheggio) mi aiutano molto. Verso le due decidiamo di rientrare. Ci avviamo su viale Regina Elena e dopo aver percorso almeno due chilometri come zombie metropolitani, a Petru sorge un dubbio: "Mone, siamo sicuri di non aver già passato la via dove abbiamo parcheggiato?" "Sai che mi sa che hai ragione" replico frastornato dalla probabile veridicità delle sue parole. "E se l'abbiamo passata, l'abbiamo passata da un pezzo." Torniamo indietro e dopo un chilometro comincio ad avere visioni fantozziane di arcangeli che suonano trombe di falloppio e megadirettori galattici che cercano di assumermi in catena di montaggio. Ad un'ora imprecisata del mattino, più prossima alle quattro che alle tre, troviamo la Golf. Qualche ubriaco ha vomitato sul cofano, ma nel mio stato allucinatorio non me ne può fregare di meno. Cerco le chiavi e rovistando nel borsello, noto con sgomento di aver perso la mia agendina. Quella sì che è una notizia traumatica, ancor più della vomitata e del danno alla macchina. Vi avevo annotato idee, aforismi da utilizzare nei miei racconti, le perle di saggezza rubate qua e là. Ma soprattutto i numeri dei miei pazienti... "Pazienza!" mi fa Petru, ma non sa il valore che ha per me quell'agendina. "Pazienza" dico io cercando di autoconvincermi che morta un'agenda se ne fa un'altra. Comunque sia ci mettiamo in marcia, ma al primo autogrill ci fermiamo a fare un riposino, visto che siamo entrambi stravolti dalla "lunga marcia". Alle sette di mattina, come i guerrieri della notte di ritorno a Coney Island dopo una notte di battaglie, scarico Petru davanti casa sua e torno sperando di non trovare mio padre già alzato. Prontamente lo trovo che sta uscendo a comprare il giornale. "Cazzo" penso, "non potrebbe dormire un po' di più almeno quando è festa?!" "Tutto bene?" chiede, passando accanto al lato scassato del Golf. "Tutto bene" rispondo sudando le ultime gocce di sudore rimastomi in corpo. Papà passa senza accorgersi di nulla, così posso parcheggiare in garage e infilarmi direttamente a letto. Mentre spengo la luce mi dico che domani (oggi) appena sveglio valuterò il modo migliore per dargli la notizia. Alle undici e mezza, dopo neanche quattro ore di sonno, sento suonare il campanello: sono arrivati tutti i parenti per il pranzo di ferragosto a casa nostra. A me scoppia la testa, ma non riesco a riaddormentarmi con il pensiero di come affrontare il papi, ma soprattutto per aver perso l'agendina. A mezzogiorno e mezzo scendo in giardino e subito mio zio mi offre un bicchierone di sangria per colazione. Lo scolo e... Oggesù, ho un'illuminazione. "Hei Pa'" dico, "senti com'è buona questa sangria." Papà, che non è un gran bevitore, la assaggia. Per fortuna gli piace, così con la scusa di qualche brindisi improvvisato gliene verso un altro bicchiere. Al terzo mi decido: "Senti Pa', ti devo fare una confessione: ho distrutto la fiancata della Golf!" "Cus'et fàt?" dice lui. Senza aggiungere altro va a controllare e quando torna, per nulla incacchiato, riempie il bicchiere dei presenti di sangria e in tono solenne annuncia: "Un brindisi a Simone, che deve trovarsi un lavoro per i prossimi due mesi per ripagare i danni alla macchina!" Si alza un coro di "prosit" e qualche risata. Io carburo ancora un po' tanto per farmi passare il mal di testa, poi vengo preso d'assalto da nipotini, nipotine e bimbi vari (qualcuno manco so chi sia) che come sempre mi prendono in mezzo "a forza" nei loro giochi. Alle cinque di pomeriggio, letteralmente esausto, mi ritiro in bagno a farmi una vasca rilassante. Disteso nella schiuma e coccolato dal tepore dell'acqua, con un birrino in mano e "cippi" nell'altra, penso: "L'incubo è finito. Dai, poteva andare peggio!"